Le comunità energetiche sono tra i “nuovi” player nel processo che sta traghettando il nostro Paese verso la decarbonizzazione.

Un ruolo fondamentale è quello della rete di distribuzione, il contesto in cui siamo evolve velocemente e quest’ultima è chiamata a trasformarsi di conseguenza per tenere il passo con lo sviluppo del mercato.

Secondo uno studio del Politecnico di Milano, entro 5 anni, saranno 40.000 le comunità energetiche e coinvolgeranno oltre un milione di famiglie e diecimila piccole/medie imprese.

L’interesse crescente nei loro confronti e il loro ruolo nella transizione energetica trova conferma nel PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che ha inserito tra le misure anche alcune specifiche per favorire la diffusione delle modalità di autoproduzione e autoconsumo collettivo, stanziando oltre 2 miliardi di euro. Budget che servirebbe per installare circa 2.000MWp, che sarebbe in grado di evitare l’emissione di circa 1,5 milioni di tonnellate di COշ all’anno.

Comunità energetiche/energy community: che cosa sono?

Sono entità “prosumer”, ovvero producer+consumer, cioè produttori e consumatori al tempo stesso.

In particolare le CER (Comunità Energetiche rinnovabili) possono comprendere un insieme di persone fisiche, come pure di PMI e di enti territoriali, comprese le amministrazioni comunali, enti di ricerca e formazione, religiosi, del terzo settore e protezione ambientale.

Tali soggetti collaborano con l’obiettivo di produrre e consumare l’energia attraverso uno o più impianti locali da fonti rinnovabili all’interno di un’area circoscritta. La loro partecipazione ha come obiettivo l’autoconsumo, non è diretto al profitto, ma al beneficio a livello economico, sociale e ambientale della zona in cui operano.

L’energia, all’interno della comunità, può essere condivisa sia utilizzando la rete pubblica, che valorizzando e quantificando l’autoconsumo e il soggetto può modificare le proprie scelte in modo trasparente e flessibile.

In Italia, le prime esperienze di Comunità Energetiche Rinnovabili risalgono ai primi anni 2000: si trattava di piccole realtà localizzate soprattutto nel Nord Italia. Attualmente ne esistono circa venti.

Si tratta essenzialmente di progetti sperimentali, che intendono individuare le best practice sul tema e sono imperniate per lo più su impianti di generazione fotovoltaici di taglia compresa tra i 20 e i 50kWp.

All’interno del panorama europeo, l’Italia mostra numeri di molto inferiori a quelli di  Germania (1.750),  Spagna (33), Polonia (34) e Belgio (34).

Tuttavia, il quadro legislativo ha fatto dei grandi passi avanti grazie alla forte spinta data non solo dalle esigenze storiche, ma anche e soprattutto da organismi sovranazionali come l’Unione Europea.

Comunità energetiche: il quadro normativo

L’Unione Europea, è stata tra i principali propulsori nell’accelerazione verso politiche green, verso le quali i governi sono trainati non solo dall’emergenza climatica, ma anche dall’innovazione continua:

  • 2008, con l’approvazione del primo pacchetto Clima Energia, l’UE aveva posto le basi per le prime azioni di sostegno agli investimenti in tecnologie di generazione di energia da fonti rinnovabili, introducendo una serie di obiettivi, soprattutto in direzione della riduzione delle emissioni del 20% rispetto ai livelli del 1990 e di una penetrazione delle rinnovabili sui consumi finali lordi pari al 20% entro il 2020.
  • 2018 – 2019, con il Clean Energy Package, un insieme di direttive che hanno, tra le altre cose, l’obiettivo di ridurre, entro il 2030, le emissioni a livello comunitario del 40% e il target di penetrazione delle rinnovabili sui consumi finali lordi fissato al 32%.

Alla base della nascita delle Energy Community, ci sono dunque indirizzi e decisioni a livello europeo, in particolare la cosiddetta RED II, direttiva UE 2018/2001, che, nell’ambito dell’obiettivo che si era posta, disciplinare la promozione delle fonti rinnovabili in direzione dello sforzo di decarbonizzazione in vista del 2030, ha previsto le cosiddette REC (Renewable Energy Community).

In Italia, la regolamentazione di tale soggetto giuridico ha seguito nel 2020 uno schema transitorio fino all’adozione, nel 2021, del relativo decreto legislativo n.199/2021. È attualmente in corso la formazione dei provvedimenti che nel 2022 l’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente (ARERA) dovrà adottare per l’attuazione del Decreto di recepimento della Direttiva RED II.

In attesa del recepimento definitivo della direttiva, il nostro Paese aveva già comunque introdotto, come detto, uno schema transitorio nel 2020, tramite il DL 162/2019 “Milleproroghe” poi convertito in Legge n. 8/2020, una sorta di sperimentazione relativa alle REC a dimostrazione dell’interesse che si è generato nei confronti di questo soggetto.

Comunità energetiche: la tecnologia

Lo sviluppo delle energy community è possibile anche grazie all’innovazione per la generazione di energia rinnovabile, per il suo accumulo e per il monitoraggio (grazie ai dispositivi di “smart metering” e di scambio dati con la rete) dei consumi ai fini dell’efficienza energetica. Tutto ciò concorre alla massimizzazione dello sfruttamento dell’energia dispacciata.

La transizione energetica: le REC e la rete

Con l’avvento dei prosumer e delle comunità energetiche è evidente come si stia passando da un modello energetico che non è più lineare, ma bidirezionale, non più centralizzato e basato sulle fonti fossili, ma decentralizzato, che punta sulle rinnovabili.

La rete ha un ruolo fondamentale in questo scenario, nel rendere possibile un consumo responsabile e condiviso, dev’essere capace di cambiare così come cambiano condizioni, contesto, esigenze e comportamenti dei clienti.